Imprese giovanili in calo: dal 2019 -22,9%

massimiliano mei

GROSSETO – L’Italia non è un paese per giovani? Sicuramente non lo è se si vuol fare impresa. In tutti i comparti dal 2019 al 2024 nella nostra nazione sono sparite oltre 35mila attività guidate da under 35.

Un calo del 22,9% che investe anche la nostra provincia. Una flessione nettamente più pronunciata di quella complessiva delle imprese (-7,2% dal 2019) e più che quadrupla rispetto alle attività guidate da over 35 (-5%) nei tre settori del commercio, della ricettività e della ristorazione.

Secondo l’indagine commissionata da Confesercenti sui dati camerali «Il calo è più veloce nei centri urbani intermedi: nei comuni tra i 15mila e i 50mila abitanti le imprese giovanili sono diminuite del 23% dal 2019, in quelli tra i 50mila e i 250mila del 24,2%».

Al calo di attività giovanili corrisponde un invecchiamento complessivo della popolazione imprenditoriale di commercio e turismo, con l’età media che in cinque anni è passata da 50 a poco più di 51 anni (51,3), un aumento di due punti percentuali circa. La Toscana è, tra l’altro, una delle regioni in cui questo fenomeno è più evidente (età media 53,1).

«A pesare un mercato sempre più competitivo, come conferma il tasso di mortalità delle imprese nei due comparti: più di un terzo (il 34,4%) di avviate nel 2019 ha cessato di esistere prima di compiere cinque anni di vita, il 43,1% nella ristorazione/servizio bar».

Il presidente provinciale Fiepet Confesercenti, Massimiliano Mei, individua una serie di concause. «Da una parte, semplicemente, è legata al calo demografico e alla diminuzione delle nascite: meno giovani uguale meno nuovi imprenditori. E questo emerge anche nelle differenze che ci sono tra nord e sud, dove l’età media diminuisce. La parte preponderante, però, è che il commercio non è più uno sbocco lavorativo appetibile. Forse per un cambio culturale e di aspirazioni ma soprattutto per la concorrenza spietata che c’è in questo settore, tra lo strapotere di internet e della piattaforme on line contro cui i piccoli negozi non possono combattere, e spese di gestione alle stelle. Bollette raddoppiate, Tari alle stelle. Per certi tipi di attività come bar o ristoranti si pagano percentuali ormai mortali, costa più la Tari che l’Irpef. E stiamo parlando di spese incomprimibili, che rendono il settore non più remunerativo».

«A questo si aggiungono le scelte di alcuni amministratori con centri storici chiusi al traffico dei potenziali clienti ma non a quello dei corrieri che magari portano a domicilio merce acquistata su web. Ci sono settori in cui ormai si lavora in perdita. Anche la ristorazione, sinora in espansione, inizia ad avere una flessione. Chi resta in trincea lo fa o per arrivare alla pensione, oppure chi è nel settore da anni è ha l’esperienza per andare avanti. Le aziende dei giovani che si affacciano sul mercato senza alcuna esperienza hanno un tasso di mortalità altissimo».

Mei attacca poi le liberalizzazioni: «Prima i Comuni potevano guidare la situazione grazie ai piani del commercio. Il risultato delle liberalizzazioni è stato un abbassamento degli utili per tutti, con l’aumento dei costi e si stanno creando anche problemi di ordine pubblico. Se non si mette mano alla situazione ben presto sarà il caos totale».

Più in generale però per Mei è anche una questione culturale: «Quella del commerciante è una vita di sacrificio peraltro non più remunerativa come un tempo. E c’è la tendenza a rifuggire questo tipo di lavori».