L’Istat certifica un crollo inaudito, che vede svanire oltre 72 miliardi di consumi delle famiglie in beni non alimentari e servizi. Un buco che non mancherà di avere effetti profondi e duraturi sul tessuto imprenditoriale, in particolare per le attività del turismo, per i pubblici esercizi e per gli esercizi commerciali della distribuzione moda, che insieme perdono quasi 24 miliardi di euro di consumi in un anno: un euro di spesa sparita su tre è in questi settori. Così Confesercenti commenta i dati Istat sulla spesa delle famiglie nel 2020.
L’auspicio è che le famiglie normalizzeranno i loro consumi nei prossimi mesi seguendo le riaperture delle attività dei servizi. Il recupero sarà però graduale”, commenta l’Ufficio Economico dell’associazione. E non tutto tornerà come prima: l’impoverimento di una fascia della popolazione e una maggiore cautela nelle spese possono modificare la struttura dei consumi portando a un downgrade delle caratteristiche dei prodotti. In particolare, questo può favorire i formati distributivi più economici, come ad esempio i discount, e i prodotti private-label a basso prezzo, oltre ad un ulteriore spostamento dei consumi verso l’online.
A pesare sulla spesa delle famiglie il mix di restrizioni – che ha investito, nell’ultima parte dell’anno, soprattutto i servizi – e l’incertezza. Vincoli esterni che hanno pesato più dell’effetto del Covid sul lavoro: il collasso dei consumi si è verificato, come abbiamo già sottolineato in altre occasioni, in presenza di una relativa stabilità dei redditi delle famiglie.
Riaprire non basta: per ripartire serve un’iniezione di fiducia, con misure mirate al rilancio dei consumi. Il tracollo di questi, infatti, non è un problema solo per le imprese della filiera commercio di vicinato, dei pubblici esercizi e del turismo. La scomparsa di un pezzo così grande di spesa della famiglia ha infatti un forte impatto su tutta l’economia: il crollo dei consumi è direttamente responsabile della perdita del 7% del Pil.